«Quando dieci anni fa – commenta Vincenzo D’Avanzo – mi capitò di chiedere a Giovanni Jannuzzi, figlio del Senatore, come si sarebbe comportato il padre in occasione del rapimento di Aldo Moro la risposta fu  perentoria: “si sarebbe battuto come un leone per salvare la vita a Moro, non solo per il saldo rapporto di amicizia reciproco, ma per la comunanza degli ideali”».

In effetti, Moro per la sua solida cultura cattolica e Jannuzzi per la sua grande cultura giuridica, credevano nel primato dell’uomo anche di fronte alla ragion di stato. I leaders o hanno un grande progetto disegnato sull’uomo o sono semplici burattini anche quando si sentono grandi.

Per questo l’amicizia tra i due andava oltre il rapporto politico. Quando Moro fu costretto a farsi una propria corrente  non chiese a Jannuzzi di aderirvi e a Jannuzzi non passò per la testa l’idea di mettersi sotto l’ombrello protettivo del leader barese perché contrario alle correnti. Ciò non impedì di continuare a rispettarsi e persino cercarsi sui problemi di comune interesse. Questo avvenne in particolare in politica estera, perché entrambi credevano già allora che la seconda guerra mondiale aveva messo in moto quella rivoluzione che poi chiameremo “Globalizzazione”.

Per far fronte a questa sfida essi capirono che il singolo Stato da solo sarebbe stato debole sia dal punto di vista economico  che per la difesa della democrazia. Lo aveva intuito Carlo Marx duecento anni fa di fronte alla introduzione della macchina nei processi produttivi. Solo che Marx si fermò a guardare gli effetti che questo avrebbe prodotto sulla classe operaia, Jannuzzi e Moro si resero conto che poteva essere l’uomo a pagare il prezzo più salato anche nella sua formazione societaria: il popolo.  Il monopolio della economia si sarebbe mangiato anche la democrazia. Il singolo popolo non poteva vincere l’assalto del globalismo economico se non organizzandosi in formazioni più grandi. Ecco il disegno europeo, al quale Moro diede il suo apporto culturale e Jannuzzi la sua formazione giuridica. Non a caso Moro curò molto la politica estera in tutti i suoi passaggi governativi, Jannuzzi come sottosegretario alla difesa curò in prima persona la formazione della Comunità Europea di difesa (CED). Jannuzzi rimase molto contrariato quando quel sogno si infranse contro gli individualismi nazionali, allora frutto anche della recente guerra.

Entrambi si misero poi a lavorare per la comunità economica europea: il pachiderma russo allora faceva paura dal punto di vista economico e militare. L’Italia per la difesa era ormai nella Nato, ma per la economia era esposto alla supremazia americana e sovietica. Ecco allora la nascita del primo nucleo unitario, anche se piccolo. Ma quelle sei nazioni funsero da calamita per le altre nazioni fino alle 28 di oggi, seguendo un percorso che privilegiava l’uomo su ogni altra cosa. I popoli capirono questo grande disegno e aderirono con entusiasmo a questa nuova formazione comunitaria e in questo diede un solido contributo proprio l’emigrazione che contribuì a favorire i processi di condivisione.

Poi vennero meno i grandi leaders e prese il sopravvento la burocrazia che oberò i popoli aderenti di regole e norme molto spesso incomprensibili e pesanti fino ad arrivare a suscitare un sentimento di odio verso l’Europa di cui a molti sfugge la prospettiva. Se l’Europa sarà presentata come un insieme di lacci e lacciuoli non susciterà mai entusiasmo, se invece presentiamo l’Europa come baluardo di difesa, come stimolo alla crescita dei popoli, come salvaguardia dei propri ideali vedremo che l’entusiasmo ritornerà. Per far questo occorrono leaders veri non sfasciacarrozze. Il sovranismo ha due facce: la tutela della propria identità culturale e storica in un contesto operativo unitario oppure la rivendicazione della propria individualità contro quella degli altri. Nel secondo caso l’unità è solo una maschera. Moro e Jannuzzi hanno messo le premesse per la prima soluzione. Occorre riprendere il filo delle loro intuizione e elevando il senso di partecipazione  alla crescita dell’Europa. Rinfocolando le paure non si risolvono i problemi.

Di questo si parlerà nel Chiostro di San Francesco mercoledì 8 maggio alle ore 18,30 con Nuccio Fava, storico giornalista della Rai e presidente della sez. italiana dell’ass. Giornalisti Europei,  l’avv. Giovanna Bruno, presidente provinciale della fondazione Moro, l’on. Benedetto Fucci, presidente della fondazione Jannuzzi. All’evento parteciperà anche il dott. Tufariello, commissario prefettizio del Comune di Andria.