Con due David di Donatello, tre Nastri d’Argento, Globo d’Oro, Ciak d’Oro, premio per il miglior soggetto al Bif&st e migliore sceneggiatura al Tribeca Film Festival si può dire che Perfetti sconosciuti è il film italiano che ha fatto incetta di premi questa stagione, mettendo d’accordo critica e pubblico.
L’incastro della storia tra i piccoli interstizi tra visibile e invisibile è perfetto. Un originale gioco teatrale che soddisfa quella curiosità che spinge a indagare i meccanismi delle sliding doors: La scrittura a cinque mani dimostra la conoscenza della tradizione teatrale e cinematografica da Stanislavskij a Polanski. L’invisibile presenza della quarta parete e il gioco del “magico se” riportano alla mente gli esercizi del Teatro d’Arte di Mosca. Personaggi e colpi di scena rievocano le maschere sociali di pirandelliana memoria. Il desco casalingo medio-borghese rimanda inevitabilmente a Carnage e al francese Cena Tra Amici.

Teatro, cinema e vita si foraggiano vicendevolmente, così lo spettatore si scopre a spiare dal buco della serratura un convivio in cui la verità a tutti i costi non è giustizia a tutti i costi. Gabriel Garcia Marquez diceva che ognuno di noi ha tre vite: una pubblica, una privata e una segreta. I supporti tecnologici integrati alle nostre vite ne fanno parte di diritto. La libertà poi è sempre una questione di gestione del controllo e di assunzione di responsabilità. Le tre vite non sono separate. Pirandello era stato facile profeta, siamo quell’uno, quanto nessuno che centomila.

A cambiare è la percezione di ciò che siamo. Nostra e degli altri. Le stratificazioni dell’animo umano ne influenzano l’immagine in superficie. «The real face is under the surface» direbbe Bill Viola. È proprio nel gap tra questi livelli che nascono le relazioni.

Attraverso un preciso controllo dei i tempi e dell’azione scenica e un accurato lavoro dell’attore e sul personaggio, Paolo Genovese dipinge un’umanità dalle pennellate cubiste. Le tableau vivant che ne viene fuori è un tutto tondo aggettante. E come per le espressioni artistiche dalle Avanguardie in poi, lo sguardo non basta. Non è il prodotto artistico che conta ma l’idea che sta dietro l’azione dell’artista.

Quello che resta è che probabilmente è vero che siamo fatti della stessa sostanza dei sogni e come i sogni siamo stratificati e la conoscenza procede per livelli. E se di sogni si parla non sarà casuale la citazione finale e dell’Inception di Nolan, proprio lì dove inizio e fine si incontreranno.

Tra gli altri premi, Paolo Genovese quest’anno è stato insignito anche dell’”oscar capitolino” meglio noto come il Premio Simpatia. E di simpatia il suo cinema ne ha da vendere senza mai eccedere.