Rieccoci a Kavaje, centro delle attività dei ragazzi del campo giovani SS. Trinità. Ed è proprio qui che il gruppo guidato da don Francesco Santomauro si è occupato dell’animazione per bambini nel quartiere periferico del paese, luogo dove Suor Maria e le sue sorelle operano più da vicino attraverso la loro Missione. I più piccoli sono prevalentemente musulmani, mentre solo una piccola parte è cristiana. Bambini per lo più tra i 6 e i 12 anni, tutti albanesi, qualcuno anche proveniente dal campo “rom” situato nei pressi della Missione delle Suore dove i ragazzi di Andria sono stati ospitati. Ed è proprio in questo luogo che suor Maria accoglie ogni giorno tanti bambini, sin dall’inizio del suo mandato in Albania nel 1996.

«Il 90% della popolazione di Kavaje è prettamente musulmano, poi ci sono mille famiglie ortodosse, e i restanti sono cattolici – spiega suor Maria -. I cattolici provengono soprattutto dal nord dell’Albania e sono all’incirca 30 famiglie che costantemente seguiamo e stimoliamo attraverso la celebrazione della messa, attività liturgiche e animazione. All’inizio non è stato facile. Nel ’96, quando abbiamo cominciato la nostra missione, ci siamo trovati di fronte ad una situazione difficile. Abbiamo cercato di inserirci pian piano nel contesto sociale e nella mentalità del paese, diversa da quella italiana. Dopo il 2004 abbiamo puntato sulla formazione. In questi anni tanti ragazzi musulmani che venivano qui si sono convertiti liberamente al Cristianesimo. Da sempre cerchiamo di aiutarli dal punto di vista materiale, quando mancano i beni di prima necessità, e dal 2004 dal punto di vista formativo. A Kavaje aiutiamo più di 50 famiglie, anche non cattoliche, duemila da quando abbiamo cominciato questo percorso, anche attraverso l’adozione a distanza. E poi abbiamo cercato di dare loro anche cure mediche, poiché purtroppo qui gli ospedali sono fatiscenti».

Successivamente i giovani andriesi si sono diretti verso l’ultima tappa della loro Missione Albania: il carcere Juveniles di Kavaje. Un luogo dove sono rinchiusi diversi ragazzi di età compresa tra i 12 e i 19 anni che per diversi motivi hanno dovuto fare i conti con la legge. Molti di loro non hanno famiglia, mentre alcuni, approfittando della possibilità di avere un pasto e un letto dove dormire, compiono diversi crimini per poterci tornare una volta completata la pena. A seguirli giorno per giorno, un psicologa che attraverso una piccola intervista non registrata ha spiegato come «ogni ragazzo segue un proprio percorso di riabilitazione, procedendo con diverse attività in grado di educarli per la loro vita al di fuori del carcere. Si tratta per lo più di attività manuali, legate ad alcune tipologie di lavoro».

I ragazzi del campo giovani SS. Trinità hanno svolto assieme agli “ospiti” del carcere alcune attività sportive come calcio, pallavolo e pallacanestro, vivendo all’incirca un’ora di divertimento e spensieratezza, lontano dalle fredde immagini delle celle e delle adunate in riga prima di dirigersi per i campo da gioco esterni.