Il 23 marzo prossimo, con la lettura della sentenza di primo grado, potrebbe concludersi, almeno per il momento, una vicenda che dura ormai da più di nove anni. Il 3 marzo del 2012, infatti,  il caposquadra andriese Antonio Carpini, morì dopo esser precipitato nel vuoto da un’altezza di 27 metri mentre era su di una “mensola rampante” al lavoro nel cantiere per la costruzione di un termovalorizzatore nel torinese. La morte del caposquadra Carpini fu seguita a distanza di meno di un mese da un altro incidente sul lavoro in cui perse la vita Cosimo Di Muro, operaio di Canosa e caduto da 40 metri di altezza a causa dell’improvviso distacco di una piattaforma dal muro. Per queste due morti si attende ancora giustizia ed un eventuale colpevole.

Un processo, tuttavia, che ha trovato non poche difficoltà nel celebrarsi e nell’arrivare ad una conclusione. Oltre cinque anni di indagine, quattro magistrati coinvolti e praticamente otto anni solo per far partire il dibattimento. Nell’ultima udienza celebrata il 3 marzo scorso, il pm ha formulato una richiesta di condanna a quattro anni di reclusione per Nicola Angona, amministratore dell’impresa individuale “Edil Due” una delle ditte subappaltatrici per la realizzazione di un muro per la “fossa dei rifiuti” del termovalorizzatore. Mentre per Maria Vania Abbinante, coordinatrice in fase di progettazione e Furio Saraceno, responsabile del cantiere, la richiesta è quella di assoluzione. Tutti e tre dovevano rispondere per l’omicidio colposo dei due operai mentre per le lesioni era già intervenuta la prescrizione.

La TRM, proprietaria del termovalorizzatore, ha risarcito tutti gli eredi ma i genitori di Antonio Carpini hanno voluto continuare a loro spese nel giudizio penale sino alla simbolica richiesta, arrivata nell’ultima udienza, di 10 euro per il titolare della ditta.

Antonio primogenito della famiglia Carpini ha lasciato davvero un vuoto incolmabile come ci racconta suo fratello Fabio.

Il servizio di News24.City.