Il 12 novembre 2003 resterà nella memoria come un giorno di lutto. Un attentato che ha segnato la missione italiana in Iraq e precisamente a Nassiriya, dove era di base una delle due sedi dell’operazione Antica Babilionia, partita qualche mese prima. Circa 400 i carabinieri presenti su tremila uomini, ed il camion cisterna pieno di esplosivo guidato da due kamikaze, nell’esplosione provocò 28 morti.
Nel giorno del 17° anniversario della strage di Nassiriya, il carabiniere andriese Riccardo Saccotelli, che ha rischiato di morire nell’attentato in Iraq, ha voluto lasciare un messaggio alla nostra redazione senza voler ricordare quel tremendo 12 novembre. Un messaggio attuale, denso di rabbia, ma soprattutto di rassegnazione a causa dell’assenza e dell’indifferenza delle istituzioni.
«E’ una giornata normale, forse più di quelle ordinarie, noiose o indaffarate. Ma forse è proprio questo a renderla unica. Quello Stato che oggi riempie pagine di giornali, sceneggiate televisive è presente ovunque, nella mia vita non vuole essere presente. Questo coinvolge tutti, vi coinvolge tutti e non perdona nessuno. Io non vi perdono, non posso. Ne la politica e istituzioni locali, ancor peggio quelle che oggi festeggiano a testa alta sul mio dramma le loro false glorificazioni.
Ci si lamenta del fatto che la gente non creda al Covid: forse è ciò che si raccoglie quando per anni professi che la mafia non esiste, non ha ucciso Falcone e Borsellino annidandosi nello stato. La strage di Bologna fu colpa di un deragliamento, la banca dell’agricoltura saltò in aria per una perdita d’acqua, Ustica fu colpa di un errore umano e a Nasiriyah è caduto un meteorite sulla terra piatta. La politica è onesta e non ruba e non ci sono mai colpevoli istituzionali perchè è anche perfetta.
Il vero virus non è il negazionismo ma l’assolutismo: il non credere più cioè in qualsiasi istituzione o agenzia sociale sapendo che spesso mente o nasconde le proprie responsabilità e in ragione di questo sotterra il buono con il marcio. E’ il virus del tradimento di un paese molto bravo a sotterrare i morti ma soprattutto la loro memoria per poi svegliarsi continuamente dai suoi incubi passati che tornano e ritornano.
E allora ricordo un grande filosofo antropologo che dimostrò nel suo studio della storia e della storia dell’arte che “Si dà, da un lato, la storia che uccide il passato: è la storia rassicurante del positivista. E si crede scientifica e oggettiva. Ma fa del suo oggetto solo un oggetto morto, cioè reso inoffensivo e privato della sua vita. Dall’altro, si dà la storia in cui vive, in cui sopravvive il passato: è la storia più inquieta. Sono le cose morte da gran tempo, in effetti, che incombono sulla nostra memoria, e la abitano, più efficacemente e più pericolosamente”.
La pietà è assassinio se lo Stato continua a difendere gli assassini».