La prima, la migliore. Il titolo dello spettacolo della compagnia Berardi Casolari potrebbe essere una considerazione sulla prima replica di domenica sera a Palazzo ducale per il Festival Castel dei Mondi. In realtà, più tristemente e ironicamente, quella prima e migliore si riferiscono alla Prima Guerra Mondiale.

Qualcuno potrebbe obiettare che se si volesse parlar di guerra, di spunti ce ne sarebbero e anche di più recenti, senza scomodare i conflitti di un secolo fa. Ma è vero anche che per comprendere meglio le dinamiche di un fenomeno contemporaneo, analizzarne uno precedente e già conclusosi permette di avere un quadro più completo sui rapporti di causa ed effetto.

I Berardi Casolari, presenti nella scorsa edizione del Festival con il laboratorio per attori “I figli della frettolosa” sul tema della cecità, tornano quest’anno con un nuovo spettacolo che è il primo risultato di un’indagine storico-letteraria e politico-economica ancora in corso, avviata dagli autori e interpreti dopo l’incontro con il romanzo “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di E.M. Remarque.

Sempre di cecità si tratta, ma questa volta la cecità non è una condizione fisica ma dello spirito. Quello di chi dall’alto di intoccabili posizioni di potere muove i propri soldatini di piombo decidendone le sorti. Nulla di nuovo infatti. Oggi come allora la guerra è lo spot promozionale dei potenti che giocano la loro interminabili partite a Risiko con pedine umane arruolate tra giovani disperati. Promoter di morte che fanno leva sugli entusiasmi, sul patriottismo, imbonendo le nuove generazioni con il racconto dell’illusione di un futuro e di un mondo migliore.

La guerra però non è mai un’opportunità ma sempre una mancanza e una perdita. Di umanità, di vite e di civiltà. “Se fossimo più evoluti, da un pezzo saremmo pazzi, o disertori, o caduti in battaglia.”
La guerra livella, appiana, confonde. Tra la polvere e il fango delle trincee non esistono più differenze di origini e cultura, monete di vari paesi, nel crogiuolo di morte, recano tutte lo stesso conio.

La guerra riduce tutto all’indispensabile. E magari, quasi per assurdo, risiede proprio in questo la possibilità della salvezza. Riscoprirsi fratelli e uguali sulla terra di confine e dietro le linee nemiche (come non pensare alle scene di trincea più commoventi e significative del film War Horse di Spielberg del 2012) fa crollare ogni ragione del conflitto e, in quello stesso fango, affondano le menzogne degli ideali nazionalisti, cadono le maschere e gli uomini.

Prendendo in prestito l’incipit del libro di Remarque,

“Questo spettacolo non vuol essere
né un atto d’accusa né una confessione.
Esso non è che il tentativo di raccontare di
una generazione la quale – anche se sfuggì alle granate –
venne distrutta dalla guerra.”

Generazioni e degenerazioni. Di ieri e di oggi. Come cantava Modugno, ‘il tamburo della guerra suona e non gli importa nulla di una madre che piange e prega’. Niente di nuovo dunque. Una storia che si ripete e che, proprio per questo, si è sempre in tempo per cambiare.

Lo spettacolo La prima, la migliore di Berardi Casolari andrà in scena anche stasera a Palazzo ducale alle 21.45.