Di seguito, l’omelia domenicale odierna di Mons. Luigi Mansi, vescovo della Diocesi di Andria-Canosa-Minervino:

«Nella festa di Cristo Re il nostro sguardo si posa ancora una volta, come sempre del resto, su Gesù, per capire che cosa ci vuol dire Lui quando afferma di essere un re. Le letture che abbiamo ascoltato sembrano privilegiare il tema del giudizio. Infatti nel profeta Ezechiele, la prima lettura, è Dio che si presenta come il pastore, la guida e poi verso la fine dice: “Io verrò e giudicherò tutte le mie pecore, una per una”. E poi il vangelo ci presenta una parabola che ha come tema il giudizio e non a caso chiamiamo spesso questa pagina il giudizio universale.

Nella prima parte di questa pagina si parla chiaramente di un momento in cui il Figlio dell’uomo verrà si siederà sul trono della sua gloria e compariranno davanti a Lui tutte le genti. Dunque un giudizio dal quale nessuno sfugge ed è un giudizio che non ammette la presenza di gruppi particolari, ma è universale, tutte le genti. Dinanzi a questo supremo giudice compaiono tutti, dunque, non soltanto i cristiani. E questo vuol dire che tutti gli uomini appartengono comunque a Cristo, anche se non lo sanno, anche se non lo conoscono; è Lui davvero il centro, il vertice, il culmine della storia. Il vangelo di oggi privilegia dunque la dimensione del giudizio. E il giudice supremo non ha bisogno di ascoltare testimoni perché tutto è presente davanti a Lui in maniera chiara.

Ebbene, ci stupisce l’estrema serietà di questa pagina, nel senso che il giudice parla e esprime con sicurezza la sua visione delle cose, emette la sua sentenza che per alcuni è di assoluzione, di premio, per altri è di condanna. Ma è appena il caso di ricordare che la serietà della pagina sta nel fatto che si tratta di premio eterno o di condanna eterna. Non è che, come accade a volte nelle aule dei tribunali, la sentenza può prevedere una condanna più o meno lunga. Qui si tratta di una sentenza che non ammette fine, e non ammette nemmeno, come capita a volte nelle sentenze dei nostri tribunali, gradi ulteriori di giudizio. Dunque qualcosa di estremamente serio.

Su che cosa verte il giudizio? Noi ci aspetteremmo che il Signore debba prendere la Legge, i comandamenti, uno per uno e alla fine tirare le somme. Invece no. Restiamo completamente spiazzati dal fatto che il tema, l’argomento del giudizio non è il riferimento puntuale alla legge, no. Il giudizio verte sul modo con cui noi abbiamo realizzato il nostro rapporto con Lui, con Gesù: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere…”. È chiaro che quell’elenco è semplicemente indicativo, è una parabola che comunque ci fa capire dove vuole arrivare Gesù. Si tratta dei bisogni primari dell’uomo che in alcuni casi sono abbondantemente soddisfatti, in altri no; ci sono i ricchi e ci sono i poveri, ci sono le persone lussuosamente vestite e ci sono le persone che hanno quattro stracci addosso, ci sono le persone malate che sono circondate da amici, parenti e familiari e ci sono persone che vivono nella solitudine, ci sono persone in carcere, anche di questo parla il vangelo, che ricevono le visite e ci sono persone abbandonate a se stesse, alle cure degli assistenti sociali che cercano di provvedere ai bisogni primari. Questa è la realtà.

Ci stupisce un po’ l’ultimo di questo elenco: ero carcerato. Ma come?! Gesù carcerato?! Riconosciamo che questo no, non riusciamo proprio ad accettarlo. Come può succedere che Gesù sia stato in carcere? Allora i giusti risponderanno: “Signore, quando mai?”. E la risposta: “Tutte le volte che avete fatto qualcosa di questo genere ai miei fratelli più piccoli è come se l’avete fatto a me”.

Dunque la conclusione qual è? Nel volto di chi ci sta accanto noi dobbiamo riconoscere il volto di Gesù, ci piaccia o no, simpatici o antipatici, buoni o cattivi, che ci hanno fatto del bene o che ci hanno fatto del male, nel volto di chi mi sta accanto il vangelo di oggi mi chiede di vedere il volto di Gesù e di non girarmi dall’altra parte, mai, anche se è un volto sfigurato dal male, dal peccato, come del resto può essere il nostro volto per chi ci sta accanto.

E guardiamo poi la seconda parte della parabola: “Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere…”. Anche qui si ripete la stessa trafila: “Signore, quando mai? Se ti avessimo visto, certo che ti avremmo soccorso”. E Gesù che dice: “In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose ai miei fratelli più piccoli non lo avete fatto a me”. Basta, non c’è più possibilità di chiedere una proroga. Adesso è tardi, è finita. Il giudizio finale non ammette ulteriori tempi di redenzione.

Perciò, finché abbiamo tempo, possiamo redimerci. Nelle settimane scorse abbiamo riflettuto su questo tema, le vergini stolte e le sagge e l’olio da mettere nelle lampade, domenica scorsa i talenti, servi operosi, vigilanti o servi fannulloni, addirittura malvagi. Oggi il vangelo ci dice come va a finire la storia e va a finire proprio come è scritto, per quanto sia parabola è esattamente il racconto di quello che accadrà.

Qual è la riflessione per noi? Io credo che tutti ci portiamo dentro, dopo aver letto questa pagina, innanzitutto un desiderio, un sogno forse: che possa arrivare per noi il giorno in cui Gesù ci debba dire: “Venite, benedetti dal Padre mio. Venite nel regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo”. E insieme a questo desiderio e a questo sogno, un timore, un sacro timore, sacro e prezioso: che non debba mai sorgere il sole di una giornata nella quale il Signore ci possa dire: “Via, lontano da me, maledetti”. Non ci vogliamo nemmeno pensare però pensiamoci e finché il Signore ci dà tempo cerchiamo di convertirci all’amore. Questo è tutto».