La vicenda dell’eccidio delle sorelle Porro avvenuto il 6 marzo 1946, è un’altra verità rimasta “infoibata” per anni di cui si è incominciato a parlare solo da un paio di decenni, da quando ritenni giusto tirare fuori una verità nascosta di cui, per un fatto di quiete politica, si era preferito tacere. Ma il tempo riesce a far emergere quelle verità anche grazie alla determinazione di qualcuno, attraverso la rielaborazione del quadro storico degli eventi e per come si determinarono. Ed è quello che oggi si vuole ricordare per non dimenticare.

L’eccidio delle sorelle Porro, ha rappresentato per la nostra città una delle pagine più tristi e tragiche vissute  al termine della seconda guerra mondiale, scaturito da fatti e circostanza legati, tra l’altro, da un particolare clima politico, piuttosto che per fatti esclusivamente socio-economici. L’eccidio delle sorelle Carolina e Luisa Porro, unitamente agli omicidi dei tre carabinieri e di altri tre civili che funestarono la Città di Andria tra il 4 e il 6 marzo del 1946, non possono essere relegati a semplici episodi di rivolta causati solo dalla fame come si è tentato di giustificare, negando l’evidenza di circostanze strettamente collegate ad un clima politico generato da chi guidava l’allora sezione politica locale del PCI. La tragedia delle sorelle Porro è stata fatta passare come la conseguenza del disagio sociale ed altre amenità varie, negando fatti e circostanze che andavano ben oltre, se si considerano anche gli atteggiamenti di sfida assunti nei confronti del beato vescovo Mons. Di Donna il quale, non sarà stato un caso se il primo maggio 1946, scrisse una lettera pastorale rivolta ai fedeli della Diocesi, “Sulla vera natura del comunismo”; lettera ripresa e pubblicata dal compianto dott. Fedele Arnese Datteo a distanza di qualche decennio. I fatti di Andria, culminati con l’eccidio delle sorelle Porro e con gli omicidi dei tre carabinieri, non possono essere relegati come un semplice episodio post guerra causato dal disagio socio-economico che, per la verità riguardava tutto il Paese, bensì ad un fatto meramente politico che vedeva nella figura del segretario politico della locale sezione del PCI, il vero fautore di un clima politico sfociato in un vero e proprio odio di classe nei confronti dei proprietari terrieri. Non sarà stato un caso che l’allora Prefetto Broise, tra le altre missive inviate al Ministero a Roma, con una raccomandata del 29 aprile 1946, a quasi due mesi dai tragici fatti di Andria, descriveva la situazione che si era venuta determinando dal mese di novembre 1944, allorquando giunse ad Andria direttamente da Roma per guidare la sezione locale del PCI, tale Vincenzo Di Gaetano, che lo stesso dott. Vincenzo Fattibene, definì “un capo settario”, descrivendolo come “un segretario politico che non perdeva occasione per seminare odio e violenza”. Un signore che, come scrive il Prefetto Broise, era stato più volte condannato per delitti contro la proprietà, oltre ad avere un carattere prepotente e violento, talchè egli soleva girare per il paese ostentatamente armato con due pistole. La raccomandata, oltre a illustrare la circostanza che tra il 5 e il 7 marzo trovarono la morte 3 carabinieri e 5 civili, evidenzia “la profonda ripercussione che aveva avuto in Andria e nella provincia l’eccidio delle sorelle Porro”, che “godevano viva e generale stima e rispetto per i loro sentimenti di bontà e di altruismo” e che era partita da Andria gran parte dei maggiori agricoltori locali, profondamente preoccupati per la triste fine delle Porro, con gravissimo danno all’economia e agli stessi disoccupati del luogo”. Per questi motivi l’eccidio delle Sorelle Porro, donne inerme e cattoliche praticanti, non può essere considerato solo l’epilogo di una semplice reazione della popolazione cittadina che pativa la fame, altrimenti non si giustificherebbero nemmeno gli assalti alle chiese con il tentativo di incendiare quella di Sant’Agostino e le aggressioni ai parroci e ai componenti dell’Azione Cattolica sfociato con il ferimento di Tonino Nicolamarino. La lettera pastorale del vescovo di Andria, Beato Mons. Giuseppe Di Donna, per il suo contenuto, è la riprova del clima politico  vissuto in particolare nella nostra città con gli “attivisti comunisti”, come sono definiti dal compianto prof. Petrarolo e da Domenico Leone nei loro rispettivi racconti pubblicati, che la sera del 5 marzo 1946, martedì grasso, dopo un violento diverbio con la famiglia Spagnoletti, approfittarono del carnevale, travestendosi da maschere, per scorrazzare su cavalli a bloccare e minare le vie d’accesso alla Città, erigendo barricate e proclamando in Andria la “Repubblica rossa”. Una situazione che il compianto dott. Fattibene, che visse in prima persona le vicende politiche e sociali di quei tempi, descrive nella sua pubblicazione come “volgari delinquenti imbevuti dalle lusinghe di potere inculcate da quel pazzo di Vincenzo di Gaetano”. Ecco perché la ricorrenza del 6 marzo, culminata con l’eccidio delle inermi ed innocenti sorelle Porro, merita da parte della nostra comunità una doverosa rivisitazione e riconsiderazione per quei fatti, pensando magari anche all’istituzione della ricorrenza del nostro “giorno del ricordo cittadino”, per condannare fermamente ogni forma di odio e violenza, soprattutto quelle scaturite dalle ideologie politiche, affinché gli anziani possano ricordare e i giovani non dimenticare.

Ricordare l’eccidio delle sorelle Porro unitamente ai fatti tragici di Andria è un dovere morale per condannare fermamente ogni forma di violenza, soprattutto quelle scaturite dalle ideologie politiche, affinchè gli anziani possano ricordare e i giovani non dimenticare.