Questa settimana lascio volentieri la parola ad un gradito ospite. Parola di Giovanni Ronco che nella sua rubrica ospitata su Trani.News24.City e dal titolo Barba e Capelli, ospita la testimonianza di Emanuele Leonetti, operatore Oss di origine andriese presso il reparto di malattie infettive dell’ospedale civile Vittorio Emanuele di Bisceglie.

Con i rischi che corriamo e per far capire a voi lettori la reale portata del periodo che stiamo vivendo, credo che le parole di Emanuele, impegnato sul campo in prima persona, valgano come “monito” e più di mille editoriali o appelli. Usciamo il meno possibile, acquistiamo con consegne a domicilio dai nostri commercianti (locali) di fiducia, osserviamo regole e distanziamento. Ecco le parole di Emanuele, per la serie “l’umanità prima di tutto”

«Da 10 mesi a questa parte, è iniziata questa esperienza professionale e personale, a contatto con persone colpite dal coronavirus, alcune in fase di guarigione e altre stazionarie in condizioni critiche, per le quali, cure intensive non servirebbero a migliorare il quadro clinico. Il lavoro mi porta a scontrarmi con la tristezza e la solitudine, la sofferenza e le lacrime dei pazienti che si sentono stremati e soli, pazienti che si aspettano qualcosa da noi… Lavorare nel settore sanitario oggi, vuol dire mettere sempre al centro la persona e il bene comune. Quindi il cittadino malato ha bisogno di comunicazione e di relazione; ha necessità di trovare negli operatori non solo competenza professionale, ma anche tempo di ascolto; ha bisogno di trovare “compagni di viaggio” con cui condividere la propria sofferenza, in questo tratto della sua vita. È evidente che come operatore socio-sanitario mi viene affidato un valore etico fondante, quale la tutela della persona umana, alla quale devo dare cura, con rispetto e responsabilità.
Appare scontato che senza relazione d’aiuto non c’è cura, quindi ogni giorno sono tante le occasioni per mettersi in gioco con l’empatia, il contatto (con 3 strati di nitrile) e il linguaggio verbale e non verbale. Premetto che, interagire con i ricoverati malgrado le tute, le mascherine, le visiere e i tripli guanti, non è stato facile, soprattutto a livello relazionale, perché i pazienti non ti vedono, non ti riconoscono, non c’è il contatto fisico diretto come in tempi normali. Poi pian piano essi imparano a riconoscerti, dagli occhi, dallo sguardo, dalla voce o dalle carezze; malgrado il triplo strato di guanti, il calore e il conforto di tali gesti, superano le barriere e trasmettono la nostra vicinanza a chi soffre.
Quando arrivi in reparto, alcuni ti salutano chiamandoti per nome, e poi si passa al racconto di come hanno trascorso la notte o la giornata… se hanno mangiato…come si sentono: si percepisce così, qual è il tono dell’umore. Dopo aver svolto le prestazioni assistenziali ci si dedica dove è possibile effettuare videochiamate ai parenti, per non farli sentire più soli di come sono. Noi non siamo eroi ma siamo semplicemente persone che si dedicano al proprio lavoro con passione e amore verso il prossimo SOPRATUTTO perché dall’altra parte potrebbe esserci un nostro parente.
Ricordatevi sempre che questo virus esiste e sopratutto usate tutte le precauzioni possibili».

Emanuele Leonetti
(Malattie Infettive Ospedale civile Bisceglie)