Diciotto persone fisiche e la società Ferrotramviaria rischiano il processo per i reati, a vario titolo, di disastro ferroviario, omicidio colposo, lesioni gravi colpose, omissione dolosa di cautele, violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro e falso. A causare il disastro ferroviario fra Andria e Corato che il 12 luglio 2016 provocò la morte di 23 persone e il ferimento di altri 51 passeggeri fu difatto un errore umano che, tuttavia, si sarebbe potuto evitare eliminando il sistema del blocco telefonico su quella tratta a binario unico. Sono le conclusioni a cui è giunta la Procura della Repubblica di Trani dopo la chiusura delle indagini sul disastro ferroviario e la richiesta confermata al gup, di ieri mattina, del rinvio a giudizio di 19 soggetti nel complesso.

Rischi sottovalutati, violazioni di norme sulla sicurezza, registri falsificati. Quella mattina da Andria fu dato il via libera alla partenza del treno senza aspettare l’incrocio con il convoglio proveniente da Corato, la cui partenza, però, non era stata neppure comunicata. Errori su errori in una concatenazione di eventi che sarebbe potuta capitare diverse altre volte, come hanno accertato gli inquirenti. E’ per questo che comunque potrebbero finire sotto processo i due capostazione, di Andria e Corato in servizio quella maledetta mattina del 12 luglio 2016, oltre ad un capotreno, l’altro purtroppo è deceduto nell’incidente. Ma le presunte responsabilità vanno ben oltre chi era in stazione o a bordo dei treni. Agli allora dirigenti di Ferrotramviaria, gli amministratori delegati Enrico Maria Pasquini e sua sorella Gloria Pasquini, il direttore generale Massimo Nitti, il direttore di esercizio Michele Ronchi e altri 6 funzionari, i magistrati contestano di non aver adeguatamente valutato i rischi, violando una serie di norme sulla sicurezza, fra direttive ministeriali ed europee, oltre al contratto di servizio per l’esercizio delle ferrovie stipolato con la Regione Puglia e non avrebbero programmato l’adeguamento tecnologico pur consapevoli che su quella linea a binario unico con il sistema del blocco telefonico, c’era una “insufficiente copertura della rete di telefonia mobile”.

Fra il 2003 e il 2015 ben 20 inchieste disciplinari interne avevano rilevato “situazioni critiche e potenzialmente dannose per la sicurezza e la regolarità della circolazione ferroviaria” ma nessun provvedimento ne è mai seguito, se non dopo la tragedia. C’è poi un livello ancora più alto di presunte responsabilità ipotizzate dai pm, quello del Ministero delle Infrastrutture: il direttore generale Virginio Di Giambattista e tre dirigenti avrebbero dovuto “compiere verifiche periodiche” e adottare “provvedimenti urgenti”. Secondo la Procura di Trani, in sostanza, gli indagati avrebbero “attuato una strategia aziendale finalizzata ad accrescere gli utili” ma “non la sicurezza della circolazione”, mettendo a rischio per anni migliaia di vite. Una lunga sequela di eventi ricostruiti puntigliosamente da una indagine lunga e complessa durata 18 mesi e che nelle prossime settimane dovrebbe portare ad una decisione definitiva da parte del gup di Trani in merito al processo sulla ribattezzata Tragedia della Bari-Nord.