Dopo quasi otto anni si aprirà domani, mercoledì 16 ottobre, il dibattimento in aula a Torino per due incidenti sul lavoro avvenuti nel 2012 all’interno del cantiere dell’inceneritore del Gerbino nel capoluogo piemontese e nel quale perse la vita l’andriese Antonio Carpini e 28 giorni più tardi perse la vita Cosimo Di Muro, originario di Canosa di Puglia. Una vicenda giudiziaria lunga e complessa che, soprattutto i familiari delle vittime, hanno voluto continuare a tener viva con tenacia visto il lungo incedere del tempo senza risposte alla richiesta di giustizia dopo la morte dei due operai pugliesi. A maggio dello scorso anno, il sostituto procuratore Laura Longo chiese il rinvio a giudizio per sette persone tra cui i responsabili dell’impresa affidataria dei lavori e della società capogruppo delle imprese esecutive, oltre ai coordinatori della fase di sicurezza, di progettazione e di esecuzione dei lavori, il dirigente responsabile del cantiere e il datore di lavoro dell’impresa subappaltatrice. Antonio Carpini all’epoca dell’incidente 42enne, e Cosimo Di Muro, 47enne lavoravano per la stessa azienda, e morirono rispettivamente il 3 ed il 31 marzo del 2012. Antonio Carpini era caposquadra e morì, secondo quanto emerge dall’avviso di conclusione delle indagini, durante le operazioni di sollevamento di una ‘mensola rampante’ nella zona del muro Nord della fossa rsu, dopo essere precipitato nel vuoto da un’altezza di 27 metri a causa di un’errata manovra effettuata dal gruista “con conseguente rovesciamento della mensola rampante e precipitazione nel vuoto”. Cosimo Di Muro, invece, era operaio e il suo decesso avvenne 28 giorni dopo mentre si trovava su una mensola speciale rampante a 40 metri di altezza e “a causa dell’improvviso distacco della piattaforma dal muro, precipitò al suolo, riportando lo sfondamento della teca cranica che ne causò anche in questo caso il decesso immediato.

In quattro saranno alla “sbarra” per l’inizio del processo di domani a Torino mentre c’è già stata una sentenza di assoluzione, quella di Raimondo Montanari il datore di lavoro in seno alla capogruppo delle imprese affidatarie dei lavori per non aver commesso il fatto, mentre due sono stati i patteggiamenti. Un anno e 10 mesi di reclusione per Antonio Zaccagnini, l’allora datore di lavoro delegato dalla società CNIM SA che era l’impresa affidataria con un contratto d’appalto stipulato con la TRM spa impresa proprietaria del termovalorizzatore, ed un anno ed 8 mesi per Carlo Asperges che all’epoca dei fatti era coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione. A processo, invece, ci finiscono Maria Vania Abbinante, coordinatrice in fase di progettazione, Furio Saraceno, responsabile del cantiere per la realizzazione del termovalorizzatore, Nicola Angona, amministratore dell’impresa individuale “Edil Due” una delle ditte subappaltatrici per la realizzazione di un muro per la “fossa dei rifiuti” e per la quale lavorava Antonio Carpini, e Gian Mario Brau amministratore unico della società So.Mi.T. srl. A vario titolo dovranno rispondere di omicidio colposo e lesioni personali colpose.

Dai familiari ci spiegano come si augurano che la giustizia ora faccia velocemente il suo corso visto il colpevole ritardo accumulato in questi anni. Gli stessi familiari ricordano come non vi sia nessun indagato tra i dirigenti della TRM proprietaria del termovalorizzatore ma che, tuttavia, la stessa azienda abbia messo in campo tutte le strategie giudiziarie possibile per dilatare i tempi. Due morti bianche, insomma, che attendono ancora giustizia.