Sarà una Pasqua diversa dagli altri anni. Un momento da vivere comunque da casa con tutte le celebrazioni programmate dalla Diocesi di Andria-Canosa-Minervino per il triduo pasquale. Di seguito, il messaggio di auguri alla comunità da parte del Vescovo Mons. Luigi Mansi.

«L’imminenza della santa Pasqua mi spinge a sentirmi vicino a tutti voi, cari fratelli Presbiteri e Diaconi, cari fratelli e sorelle nel Battesimo, e ad inviarvi questo Messaggio con cui desidero accompagnare gli auguri pasquali.

La particolarità di questi giorni della Pasqua 2020 orienta inevitabilmente in modo davvero speciale le tante riflessioni possibili. Difficile trovare gli aggettivi adatti per riuscire a definire in modo adeguato e completo questi giorni. Certo, li sentiamo più come giorni di passione che non giorni pasquali. E le riflessioni abbracciano i tanti campi del nostro vivere, ma volendo tentare di andare un po’ al fondo di tutte le questioni, penso che la più seria sia quella che riguarda la nostra condizione umana, perché è proprio questa che rende ancor più luminosa la gioia pasquale. Mi conforta aver visto il Santo Padre, Papa Francesco, farvi riferimento nella memorabile Adorazione Eucaristica della sera di venerdì 27 marzo.

E vorrei incominciare ponendomi e ponendo a voi tutti una domanda: Ma come? Non si era detto che vivevamo tempi nei quali l’intelligenza umana aveva prodotto sistemi di vita all’insegna della sicurezza e del benessere senza limiti, di una vita intesa come una corsa sempre più veloce e ormai senza regole e limiti di alcun genere, meno che meno, poi, di carattere religioso o morale, per cercare, accumulare e godere i beni dell’esistenza? I tempi moderni, si diceva fino a ieri, sono tempi di avanzato progresso e il futuro che si prospettava era di un colore sempre più roseo e bello. E tutto questo, anche se non per tutti, comunque per buona parte dell’umanità. Gli altri, prima o poi, avrebbero seguito a ruota e se no, peggio per loro.

Chiedo scusa per la inevitabile semplificazione di dinamiche che, so bene, sono infinitamente più complesse. Fatto sta che tutto questo schema, nel giro di qualche giorno, è saltato completamente in maniera del tutto imprevedibile. Ed è questo che ci lascia spiazzati, senza punti di riferimento per costruire qualsiasi discorso. Noi che siamo abituati a prevedere sempre tutto al dettaglio e al millimetro, ora ci troviamo di fronte ad una marea di decessi, appena pochi giorni prima impensabile, di tante, tante persone, e rimaniamo sempre più tutti senza parole.

Una manciata di giorni e scopriamo, d’un tratto, che una malattia il cui nome proprio è: COVID 19 è capace, nel giro di pochi attimi, di spedire all’altro mondo migliaia di persone, soprattutto anziane, come ci racconta l’impietosa contabilità delle cifre riportate giorno dopo giorno dai bollettini quotidiani. E non è questione di numeri. No! Si tratta di tante storie di persone che sono incappate in questa triste spirale e sono arrivate al fine-vita nel giro di pochi giorni e senza che in alcun modo si sia riusciti a fare alcunché. E molti di loro non hanno potuto avere nemmeno l’onore di degne celebrazioni funebri.

E allora, torno alle parole con cui ho iniziato questa pagina: una riflessione si impone, nel mentre compiamo il rito degli auguri! E credo sia questa: ma noi chi siamo? Che siamo? Se per qualche tempo ci eravamo abituati all’idea di essere quasi dei superman, alla luce dell’impietosa cronaca di questi giorni, dobbiamo dirci con disarmante realismo che avevamo sbagliato. Togliamoci dunque dalla testa questa convinzione di essere dei superuomini e torniamo invece a pensare che siamo solo dei “poveri uomini”, esseri che devono imparare a fare i conti con la propria condizione di limite, di povertà esistenziale.

L’ebbrezza del progresso tecnologico ci ha resi ciechi e sordi di fronte alla fragilità della nostra condizione umana, al punto tale che ce ne siamo dimenticati, non ci abbiamo proprio più pensato. Ma poi appare questo virus e nel giro di pochissimi giorni tutto il mondo degli umani è sotto scacco.

Per noi che ci teniamo a sentirci uomini e donne di fede, tutto questo suscita riflessioni ancor più forti e, direi, coraggiose, che ci dovrebbero condurre, senza rinvii e superficialità, ad affrontare questo tema nella nostra preghiera personale, nel confronto con la Parola di Dio e in tutta la nostra vita pastorale, dove talvolta tra noi anche serpeggia qua e là quasi una sorta di delirio di onnipotenza pastorale.

E ci vengono in mente tanti testi della Scrittura di una chiarezza impressionante, che pure noi, ministri ordinati, per via della Liturgia delle Ore, ritroviamo spesso nella nostra preghiera. Basterebbe ricordare, per esempio, il salmo 102, che recita con impietoso realismo: L’uomo: come l’erba sono i suoi giorni! Come un fiore del campo, così egli fiorisce. Se un vento lo investe, non è più, né più lo riconosce la sua dimora.

È il momento di ricordarci che noi tutti siamo costituzionalmente fragili, perché semplicemente creature. E la creaturalità, piaccia o no, dice limite e dipendenza, rappresenta in assoluto la radice di tutte le fragilità umane che tanto ci angustiano. Fragilità dai molti volti. Se fragile è ciò che si può spezzare e rompere, si comprende come il culmine della fragilità sia la morte, che segna il termine di una vita strutturalmente fragile. Siamo come il fiore del campo, ci ricorda il Salmo citato, la foglia che appassisce.

Non ci siamo dati la vita. Con i progressi delle scienze mediche possiamo riuscire a vivere qualche anno in più, ma proprio non possiamo darci l’immortalità. Siamo esposti agli imprevisti, a cose che accadono e stravolgono la nostra esistenza, ci cambiano, volenti o nolenti, i progetti: un’eruzione, un’alluvione, un uragano, un terremoto o…un virus. Tutti fattori sufficienti a metterci desolatamente in ginocchio.

Gli eventi naturali, quelli catastrofici, s’intende, nel loro ricorrere, hanno mantenuto chiara la dimensione “eterna” di assoluta fragilità dell’umanità e del creato. E poi, ancora, si vivono “fragilità di morte” anche attraverso la perdita di persone care, lo sradicamento da situazioni e tempi cui è legato molto di noi: pensiamo al lavoro, alla disoccupazione, l’interruzione di relazioni affettivamente importanti; pensiamo alla separazione o al divorzio, le limitazioni della salute; pensiamo ad una malattia improvvisa,  a tante vite infrante da questo nuovo virus, di cui appena qualche mese fa non sapeva niente nessuno.

A livello morale, poi, siamo esposti a sbagliare, a peccare, a distruggere la vita anziché a promuoverla, all’impossibilità o estrema difficoltà ad estirpare un vizio. A livello spirituale siamo esposti alla fragilità, a motivo di deboli motivazioni di senso, di scelta, non tali da reggere impegni importanti e duraturi. Nella fede ci sentiamo fragili quando conosciamo il dubbio, anche se il dubbio non indica sempre fragilità, ma talvolta desiderio sincero di certezze. La fragilità umana, insomma, ha molte espressioni, potremmo dire che ha molti volti. Essa racconta i nostri limiti, penetra le zone d’ombra della nostra vita.

In tempi nei quali tutto scorre liscio, è più che ovvio che non ci vengano in mente queste riflessioni. Ma in tempi come questi che stiamo vivendo, d’un tratto vengono ad affollare il nostro cuore che si ritrova così smarrito e, diciamo pure, impaurito. D’un tratto ogni nostra sicurezza si rivela inconsistente.

Solo la Pasqua di Cristo fa luce su questo mistero di tenebra, per cui mai come quest’anno la sentiamo come un impetuoso appello alla vita e alla gioia!

Affiorano così sulle nostre labbra, ancora una volta le parole di Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”!

Che sia questa la preghiera che tutti, coralmente dobbiamo far salire al cielo in questa Pasqua 2020 non solo per noi, ma in nome e per conto di tutti gli uomini, affidandola alla fraterna e potente intercessione del Signore Risorto, Gesù Cristo benedetto nei secoli.

Un pensiero di particolare affetto, una amorevolissima carezza ai nostri fratelli infermi, che vivono nella loro carne l’ora della prova e, insieme un pensiero di profonda gratitudine a tutti coloro che a vario titolo si stanno prendendo cura di loro.

Tutti ci sorregge la Vergine Maria, Madre dei credenti, con la sua intercessione materna; e certamente non manca la vicinanza fraterna dei nostri santi Patroni, san Riccardo e san Sabino e l’Arcangelo Michele.

BUONA PASQUA!».