Fare storia attraverso le testimonianze dirette, conoscere a fondo momenti salienti che hanno caratterizzato la vita del nostro Paese negli ultimi decenni. E’ il compito che l’IISS Lotti-Umberto I di Andria si è prefisso e che sta portando avanti grazie ad una sere di incontri molto interessanti. L’ultimo, organizzato in collaborazione con l’Assessore alla Cultura e al Turismo del Comune di Andria, Francesca Magliano, ha visto la presenza, nell’auditorium di via C. Violante, del colonnello Carlo Calcagni, ufficiale elicotterista nella missione di pace in Bosnia negli anni ’90. Un evento bellico che ha segnato profondamente la sua vita per le conseguenze sul suo fisico determinate dall’uranio impoverito. Di questo, della drammatica svolta della sua vita, delle sue vicissitudini anche da atleta paralimpico il colonnello Calcagni ha parlato ai ragazzi del Lotti-Umberto I attraverso la proiezione di un docu-film dal titolo: “I AM, io sono il colonnello” e un dialogo intenso con Giuseppe Leonetti, moderatore dell’incontro.

Nel video Calcagni ripercorre la sua vita partendo dagli anni trascorsi in Germania dove la famiglia dovette emigrare e dove il colonnello è nato.

«Una famiglia normale costretta a lasciare la propria terra per cercare fortuna altrove – racconta Giuseppe Leonetti – proteggendo sempre il sogno di ritornare lì dove tutto ebbe inizio. Un padre che racconta con fierezza il proprio figlio: quel volto segnato dal tempo capace di distendersi, diventando così liscio e luminoso nel pronunciare il nome “Carlo”. Parte così il viaggio dentro la divisa di un essere umano che, dopo aver sorvolato il cielo azzurro di un paese ostaggio di bombe e violenze, ha dovuto combattere il nemico più temibile, quello che si insidia nel corpo ma che non è visibile: un nemico senza volto, ma con un nome che purtroppo tanti dolosamente hanno sottovalutato. Quel padre racconta, agli studenti dell’Istituto “Lotti” di Andria, di quel figlio capace di non sottrarsi alle prove che, nelle diverse fasi della sua vita, è stato chiamato a superare. Il padre che lascia la parola a Carlo che, con occhi lucidi e mani ferme afferra un microfono, condivide con quei ragazzi in attesa. Carlo, il figlio che indosso’ una divisa e a 33 anni decise di creare una sua famiglia. Carlo, colpito nell’anima dall’uranio impoverito che in maniera subdola e lenta ha colonizzato il suo corpo: Carlo, chiamato a combattere su più fronti dove è stato, in alcuni casi costretto, a difendersi da quella famiglia, così numerosa, ma a tratti distratta nel proteggere i suoi soldati; nel proteggere lui. E allora l’elicottero atterra, questa volta però non è lui il pilota è guidato, o meglio accompagnato, da altri: il suo piccolo nucleo composto da sportivi, studenti, medici o semplicemente esseri umani: persone desiderose di percorrere un pezzo di strada con lui. Carlo con i piedi ben ancorati sulla terra ferma, certo non vola più, ma tra una pedalata e l’altra incontra volti; racconta la sua storia raccogliendo lacrime e dolori indicibili di perfetti sconosciuti. L’uranio continua a dispiegare i suoi effetti ma le sue mani son bramose di afferrare ancora altre mani e “infettarle” con l’antidoto più potente: la speranza. E allora si ritrova a scoprire, stupendosi, quanto la condivisione sia capace di spazzare via la solitudine consentendo ad una ragazzina, timida e a tratti indifesa, di sprigionare lacrime e di sentire, per pochi minuti, il calore di un abbraccio. Volti, parole tante parole diventate volano di speranza e coraggio: Carlo e’ tornato, nonostante la malattia e la burocrazia, a volare non su un elicottero ma come una rondine ed e’ spiccando il volo che è riuscito, come oggi in quella scuola, a mescolarsi intimamente con le persone stanche di sentirsi abbandonate».