È successo che una volta Carmelo Bene parlando dell’osceno conferì al termine il significato di ‘os (?) skené’, ciò che è ‘fuori scena’, cioè ciò che non va rappresentato, inventando una nuova etimologia rispetto a quella (l’unica confermata dalle fonti) di ‘obscaenus’, vale a dire infausto, di malaugurio’, nonché ‘indecente, sconcio’.
Ora, è evidente – e la storia del teatro dalle sue origini ad oggi lo conferma – che la scena teatrale non è stata quasi mai un luogo di estromissione e rifiuto di vizi e perversioni ma al contrario un luogo deputato alla rappresentazione dell’immoralità e dell’irrappresentabile in funzione catartica e critica dell’azione teatrale, quanto per l’attore che per il pubblico. Azione teatrale che è sempre specchio e lente di ingrandimento sul proprio tempo.

Col senno di poi, probabilmente l’etimologia inventata da Bene – frutto dell’intuizione profetica di un genio artistico – celava in tempi non sospetti, un’accezione che, seppur non sorretta da studi linguistici, avrebbe trovato la sua ragion d’essere in altri contesti più avanti nel tempo e più attuale oggi di allora.

Profezia avveratasi. Brenda Wendell Paes era un transessuale il cui corpo fu trovato carbonizzato nel novembre del 2009, all’interno di un seminterrato sulla Cassia, dove abitava, in Via Due Ponti, a Roma. Brenda era stata minacciata dopo il suo coinvolgimento nel caso Marrazzo, una vicenda di sesso, droga e ricatti che portò alle dimissioni dell’allora presidente della regione Lazio, Piero Marrazzo, appunto. Brenda aveva già preparato le valigie per fuggire e probabilmente tornare nel suo Brasile, fuga che non si compì.

La cronaca e i grandi titoli dei media nazionali da una parte e i desideri, i segreti inconfessabili, le paure di una tigre in gabbia dall’altra. L’oscenità, lo scandalo della vita sotto i riflettori di Brenda, suo malgrado, e l’oscenità, lontano dalla scena, di una vita al buio, nella paura, segreta, di quella Brenda che nessuno conosceva davvero.

Nella storia di Brenda Wendell Paes l’etimologia verificata di oscenità e quella inventata da Bene convivono con esiti drammatici nella stessa persona. Perché tutto ha un prezzo, soprattutto la voglia di libertà e come in tutti i circhi, il rullo di tamburo prima del salto del trapezista eccita gli spettatori che, per soddisfare il loro malcelato macabro piacere, preferirebbero non tanto assistere al successo dell’acrobata nella sua performance, quanto alla sua caduta, perché il male e la bellezza sono due facce della stessa medaglia.

Con lo spettacolo “Vita oscena di Brenda Wendell Paes” che ha ottenuto una menzione speciale al PREMIO NAZIONALE GIOVANI REALTÀ DEL TEATRO EDIZIONE 2016, Simonetta Damato e Gabriele Paolocà portano al Festival Castel dei Mondi 2017 una storia amara, commovente e soprattutto vera. Non quella raccontata nei servizi dei tg e nei titoli dei giornali ma quella mai raccontata di una persona incastrata e divisa nel proprio corpo come nei propri sogni. La sola oscenità allora, resta davvero quella fuori dalla scena dello spettacolo, quella della corruzione di una realtà quotidiana e oscura che travolge e schiaccia le vite vissute ai margini, sui cigli delle strade da dove cercano di fuggire senza riuscirci mai.

Damato, sola in scena, in un monologo-confessione con lo spettatore, tiene botta dall’inizio alla fine senza perdere colpi e il buon ritmo e il buon esito dello spettacolo (diverse riprese di applausi ne sono la prova) confermano un ottimo lavoro dell’attrice e autrice, assieme alla regia di Gabriele Paolocà, condotto sul personaggio e sull’azione. Lavoro che, sospendendo il giudizio sugli eloquenti fatti di cronaca, restituisce al pubblico tutta la rabbia, la passione e la tenerezza di quella Brenda che nessuno ha conosciuto mai.