Ci tengo troppo e ripropongo lo scritto che lo scorso anno, dopo tanta agitazione interiore, sono riuscito a scrivere per una esperienza tra le più forti mai vissute in vita mia.

“Stefano dalla sala operativa hanno attivato la maxi emergenza per uno scontro tra treni, ma non sappiamo ancora come arrivarci”. E’ il messaggio che pochi minuti dopo mi annunciava qualcosa che nella mia vita non avrei mai pensato di dover raccontare. In una landa del sud con uno dei servizi all’apparenza più efficienti del territorio, non avrei mai pensato a che cosa andavo incontro. “Si dice che ci siano diversi feriti”, altri messaggi che minuto dopo minuto affollavano il cellulare. Era una giornata caldissima, ero in auto con il mio collega Sebastiano, eravamo banalmente in giro a far quello che facciamo tutti i giorni: realizzare servizi per raccontare il territorio. “Cambia strada, aspetta che dobbiamo trovare un posto. Mi dicono che c’è stato uno scontro tra due treni”. A bordo della panda di redazione ci siamo avventurati in una stradina di campagna, una stradina che oggi conosco ma che credo, la rifacessi più volte, non ricorderei mai se non fosse legata a quel momento.

Cicale, grilli, sole, tanto sole e delle indicazioni parziali: erano le 11,25 di quel 12 luglio, ed io e Sebastiano, dopo aver sbagliato più volte strada, siamo arrivati ad un bivio: a destra un vigneto rigoglioso ma a sinistra c’era un’altra strada ed un suono che non dimenticherò mai. Il suono del lampeggiante del passaggio a livello, di un passaggio a livello sperduto nelle campagne, un passaggio a livello che avevo visto solo a bordo di quel treno. Sbarra a terra e suono continuo e costante che si mischiava secondo dopo secondo con quello delle cicale. “Ok gira di lì sicuramente di qui è passato qualcuno”. Nella testa e nelle braccia tanta adrenalina: per chi racconta sul campo una notizia di cronaca diventa un momento di sfida con te stesso. Un momento che ti rende allo stesso tempo importante e responsabile. Non sai cosa aspettarti, non sai cosa dovrai raccontare, non sai a cosa vai incontro, ma sai che dovrai sviscerare il meglio possibile per far capire cosa è accaduto ai tanti lettori. Noi imbeccammo la strada giusta, superato quel passaggio a livello una lunga strada asfaltata che rivivo spesso. Quasi al termine una piccola curva.

“Seba fermati qui con l’auto io scendo vado a capire cosa è accaduto, tu aspettami qui”. 300 metri prima di quel disastro che ti cambia la vita e cambia la vita di centinaia di persone. Ho accelerato il passo, davanti a me solo un’ambulanza ferma ed aperta, un manipolo di vigili del fuoco e qualche poliziotto, tutti volti che conoscevo. Ho fatto un salto verso la banchina esterna a passo svelto, ho posato gli occhi sulla ferrovia, su quella maledetta ferrovia, sui binari, su quei maledetti binari. La prima immagine è stata una scena da film, una scena che non pensi possa esser vera se non in qualche film, in qualche sceneggiatura, ma non nella realtà. Il treno azzurro ed un groviglio di lamiere. Non silenzio ma tante urla. Davanti a me una maschera di sangue, ho visto uno dei soccorritori che correva come un pazzo, uno dei soccorritori di quegli angeli che tutti i giorni sono in giro sulle ambulanze per salvare vite. Era già una maschera di sudore e disperazione, ma lottava e mi ha chiesto aiuto per tirar fuori bende e garze. Serviva l’aiuto di tutto e la mia piccola esperienza come volontario della Misericordia, proprio l’associazione che mi ha fatto scoprire il soccorso, il volontariato e tante altre cose, mi ha consentito di dare una mano fattiva. In quel momento non ho pensato ad altro che ad aiutare, non si poteva fare altro, non si poteva pensare ad altro. Dopo circa 20 minuti ho richiamato Sebastiano che era già venuto nei pressi del luogo del disastro, ci siamo guardati e nessuno dei due poteva credere a che cosa stavamo vivendo. “Stiamo arrivando con il Posto Medico Avanzato, con altre unità e tanti volontari”. Il messaggio che vuoi leggere, quello che desideri leggere quando serve aiuto.

Alle 12 c’erano già un centinaio di volontari al lavoro in quel luogo, poco dopo il posto di primo soccorso era già montato, i primi feriti erano già stati trasportati in ospedale, si cercavano i dispersi. Nella testa tante, troppe cose, sino a che arriva una telefonata, la prima di altri colleghi che chiedono delucidazioni. Sono iniziate le 3 ore più lunghe della mia vita. Tre ore in cui abbiamo informato cercando di non dare mai la sensazione di cose che non ci fossero. Troppe tante notizie false, frutto di invenzione, frutto di presappochismo, frutto di una sciagurata scelta. Abbiamo provato a dire “no” a questo. Io non userò particolari altre parole, forse avevo solo bisogno di raccontare e di affidare ad un foglio bianco questo ricordo. Un ricordo che rivivo spesso, un ricordo che mi ha segnato ed ha segnato chi era con me in quel luogo, soprattutto i primi giunti in quel luogo, quando senza filtri e senza voci c’era bisogno di scegliere cosa dire o fare. Un ricordo che mi porta a pregare spesso, a pregare per chi non c’è più ma anche per chi c’è, per quei volti che ho visto persi in una tragedia più grande di quanto si potesse mai immaginare. Quei volti che sono rimasti feriti, quei volti che hanno salvato tante vite umane, quei volti che io non posso che definire eroi. I volti di chi si è reso utile in quella giornata, i tanti cittadini che hanno portato acqua e viveri, gli ultras della Fidelis, le forze dell’ordine, i parenti di chi era su quel treno.

La vita ci ha posto di fronte a qualcosa che non avrei mai pensato di dover raccontare, ma io oggi a distanza di esattamente 365 giorni ho trovato il coraggio di scrivere, di prendere un foglio bianco e scrivere per raccontare il mio ricordo. Ora silenzio e ci si augura giustizia, ma anche e soprattutto ricordo, ricordo, ricordo. Solo così non si dimentica e si potranno evitare simili tragedie, quelle tragedie che sono più grandi di ogni singola persona coinvolta. Quelle tragedie che segnano la vita.