Non sarò un caso se le durate ufficiali dei film conteggiano anche la durata de titoli di coda. Si presta sempre troppa poca attenzione ai titoli, forse perché troppo lunghi, forse perché li si dà per acquisiti o per scarso interesse, a meno che non abbiamo da cercare qualcosa o qualcuno, tipo il nome di un attore che abbiamo riconosciuto o visto altrove ma che non ci sovviene o il titolo di una canzone della colonna sonora.

Col tempo poi restare nella sala cinema, con quei pochi che sono ancora lì a recuperare cappotto e sciarpa dalle poltrone, per vedere scorrere i titoli diventa un’abitudine. Sana e doverosa direi, perché un film è un’opera corale e ciascuno di quei nomi è lì per un motivo. Capita poi di cercarlo proprio un nome per vedere che effetto fa quando compare poco dopo altri e più famosi come quelli di Mark Wahlberg, Michelle Williams, Christopher Plummer e Ridley Scott.

Ridley Scott soprattutto. Da appassionata e studiosa di cinema posso garantire che l’effetto è da pelle d’oca. Qualche giorno fa io quel nome, in sala, l’ho cercato e l’ho trovato accanto ad una didascalia che recitava: Kidnap Van Driver. Il nome è quello dell’attore Nicola Di Chio e il film è l’ultimo in ordine cronologico di Ridley Scott, All the money in the world | Tutti i soldi del mondo. Film drammatico sulla storia vera e incredibile del sequestro di John Paul Getty III avvenuto in pieno centro a Roma nel 1973. Paul era il nipote sedicenne del magnate del petrolio J. Paul Getty, uno degli uomini più ricchi del pianeta che, nonostante ciò, si rifiutò di pagare il riscatto.
Ora, come il nome di un attore di teatro, di origini andriesi, sia finito lì nei titoli di coda di una mega produzione americana, lo abbiamo chiesto al diretto interessato.
Per chi si fosse perso qualche passaggio, recuperiamo velocemente: Nicola Di Chio è l’unico componente maschile di una compagnia dove prevalgono le quote rosa: La Ballata dei Lenna, fondata assieme alle sue compagne di viaggio, di studi e di vita artistica e professionale Miriam Fieno e Paola Di Mitri. La Ballata dei Lenna sta riscuotendo negli ultimi anni un rispettabile successo nel complesso e tutt’altro che semplice panorama teatrale italiano e sembra quasi un’assurda coincidenza che il loro ultimo spettacolo Human Animal abbia le fattezze proprio di un esperimento di teatro cinematografico girato dal vivo, in presa diretta e in soggettiva. Uno studio, il loro, per cercare di capire sulla scena, quanto e come i due linguaggi, quello teatrale e quello del grande schermo, possano fondersi o confondersi. Insomma l’occasione per Nicola di far cinema era propizia, a quanto pare.
Ho raggiunto Nicola telefonicamente in una stanza d’albergo a Firenze mentre è in tournée con La Ballata dei Lenna e per prima cosa, da amica e da fan del lavoro della sua compagnia, l’ho rimproverato per non avermi messa al corrente, in tempi non sospetti, della sua partecipazione al film di Ridley Scott, ma si sa, qui i contratti con la produzione, la scaramanzia e i segreti professionali impongono il silenzio stampa, amici compresi, «lo avevo detto solo ai miei genitori e a Miriam e Paola e neppure loro avrebbero potuto riferirlo a nessuno» mi confessa schiettamente Nicola.
Quando hai fatto il provino con Ridley Scott?
«Ne ho fatti diversi. Il primo era il 5 aprile scorso, stavo facendo il trasloco con Miriam e eravamo nel bel mezzo delle prove per il debutto del nostro spettacolo. Il giorno dopo saremmo partiti in tournée. Mi hanno chiamato per un provino self tape (un video da realizzare e da inviare con lo smartphone). Mi hanno inviato un abstract della sceneggiatura in inglese. Ho registrato il primo video di qualche minuto a piedi nudi, in felpa e pantaloncini, tra gli scatoloni. Sinceramente sulle prime avevo pensato ad uno scherzo

Poi cosa è successo?
«Il 22 maggio, più di un mese dopo, sempre in piene prove, mi hanno chiamato dalla produzione e mi hanno detto che a Ridley ero piaciuto e avrei dovuto inviare un altro video raccontando un po’ di me. Il 31 maggio poi mi hanno telefonato per chiedermi se sapessi guidare un camion?»

Un camion?
«Sì, un camion. Ho detto che avevo la patente, che avrei potuto guidare un furgone ma non un camion, avendo solo la B. In ogni caso, ho inviato un altro video e pochi giorni dopo mi è arrivato il contratto da firmare. Il cinema è una macchina organizzativa impressionante. Il 7 giugno ho fatto le prove costume, trucco e parrucco e il 12, 13 e 14 giugno ero sul set.»

Dove avete girato?
«A Roma e dintorni e sul lago di Bracciano»

Hai incontrato Ridley Scott?
«Certo! È un regista fantastico! Ha 80 anni ma ha un’energia impressionante. Ha un occhio teatrale e infatti cercava attori che venissero dal teatro. Nei giorni in cui abbiamo girato veniva sul set, dava indicazioni ma poi lasciava molto liberi noi attori di agire come sentivamo il personaggio e lui poi tornava a dare ulteriori suggerimenti. Gira parecchio anche per una scena di pochi minuti, è un perfezionista ma sa cosa vuole e come deve essere una scena.»

Chi altro hai incontrato?
«Il cinema è fatto per sua natura di grandi pause tra una scena e l’altra, per cui ho avuto modo di incontrare e chiacchierare a pranzo e in sala trucco con Michelle Williams, Mark Wahlberg e anche Nicolas Vaporidis, oltre che con la costumista, che è la stessa del Gladiatore (Janty Yates, ndr) e con il direttore della fotografia (Dariusz Wolski, ndr), che ha lavorato anche per I pirati dei Caraibi. Sono grandi professionisti dotati di una grande umiltà. Scott poi rispetta molto il lavoro di tutti e mette tutti a proprio agio.»

Come ricordi questa prima esperienza con il cinema e specialmente con il grande cinema?
«Mi porto a casa soprattutto lo sguardo di Scott, uno sguardo al servizio degli attori.»

Ti faccio una domanda di rito ma necessaria, che differenza hai riscontrato tra fare teatro e fare cinema e quale preferisci?

«Se entrambi li fai in modo onesto e li fai bene non c’è grande differenza. Anche il cinema, contrariamente a quel che si possa pensare, è molto complicato. Per formazione e per gusto personale però continuo ad amare il teatro che è stato la mia scuola, la mia palestra e soprattutto il mio primo amore.»

Ti sei rivisto poi al cinema? Che effetto fa?
«Sì, ho visto il film con Miriam e Paola, solo noi tre e la sensazione è stranissima, giri un sacco di scene e tante ore e poi ti vedi lì, sullo schermo, solo per qualche minuto. Ma fa parte dell’economia del cinema, vale così per tutti.»

Alla fine poi lo hai guidato il camion?
«No, (ride) mi hanno fatto guidare un semplice furgoncino, sono l’autista della squadra dei sequestratori calabresi di Getty.»