Project mercury: uno spazio per immaginare lo spazio.

È una vera e propria installazione a cura di Filippo Andreatta quella che interagisce con l’azione delle aspiranti astronaute Chiara e Sara.

Il pretesto è il Mercury 13,  un programma di fine anni 50 della Nasa per preparare tredici donne a diventare astronaute. Programma che non ottenne il successo sperato perché le potenziali astronaute, essendo donne, non potevano far parte dell’esercito americano e, di conseguenza, neanche della NASA essendo all’epoca una succursale militare.

E di fallimento qui si parla, l’impossibilità di essere o fare ciò che si vuole per una mancanza di privilegi a monte.

Ecco allora che lo spazio della scena è quello spazio  siderale che diventa letteralmente  spazio del desiderio, dove il ‘de-sidus’, la mancanza di stelle, spinge ad una ricerca appassionata per colmare la distanza tra i propri limiti e i sogni.

 

PRO

Project Mercury è la una delle fasi di una ricerca teatrale della compagnia Oht sulla base di quella scientifica del sociologo statunitense Richard Sennett sulle carenze e sulle deficienze umane. Sui quei limiti che possono diventare un’opportunità e su una società contemporanea, invece che tende a demonizzarli perché perennemente proiettata verso il raggiungimento di una perfezione che non è in grado di coltivare e cogliere le opportunità derivanti dalle mancanze che rendono ciascuno speciale.

Perché sono le mancanze a metterci in moto e  i desideri, appunto,  a spingerci a compiere un viaggio per riempire un vuoto. Le debolezze ci incoraggiano ad essere forti e i limiti ci definiscono più di quanto non facciano  le nostre qualità.

 

Quello dello spettacolo Project Mercury di e con  Sara Rosa Losilla e Chiara Caimmi della compagnia Oht, andato in scena per la XXI edizione del Festival Castel dei Mondi sabato 2 settembre, all’Officina San Domenico, è un percorso di indagine sulla definizione identitaria del singolo in una comunità, che si serve del teatro come strumento di studio e del suo linguaggio espressivo come canale di condivisione di alcune riflessioni con il pubblico, non senza rinunciare a qualche espediente comico.

Ridere sui propri difetti infatti, consente a ciascuno di prendere le distanze dalla propria condizione e guardarsi da un’altra prospettiva. Uno straniamento per sollecitare nello spettatore la riflessione critica individuale e collettiva, mission che il teatro persegue sempre, sin dalle origini e che lo connota a seconda dei contesti socio-culturali in cui agisce.