La contraffazione, la falsificazione e l’imitazione del Made in Italy alimentare nel mondo ha superato il fatturato di 22 miliardi di euro, dato evidentemente in crescita rispetto ai 16 miliardi dell’anno precedente. “Lo scenario ‘evolutivo’ delle agromafie impone di accelerare il percorso del disegno di legge che reca le “nuove norme in materia di reati agroalimentari”, elaborato dalla commissione presieduta da Gian Carlo Caselli”. E’ quanto chiesto dal Direttore di Coldiretti Puglia, Angelo Corsetti, nel corso dell’audizione della Commissione parlamentare d’inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, presso la Prefettura di Foggia. Secondo i dati del quinto Rapporto sulle Agromafie la palma nera è andata alla provincia di Bari, rientrata a pieno titolo nella top ten della graduatoria che fotografa l’intensità del fenomeno delle agromafie nelle province italiane. Si piazza al decimo posto, seguita a ruota da Taranto al 15esimo, la provincia di Barletta-Andria-Trani al 18esimo posto, Lecce al 28esimo, Brindisi e Foggia rispettivamente al 46esimo e 47esimo posto. I ruoli si invertono se ad essere fotografato è l’indice di permeabilità delle agromafie che raggiunge 100 a Foggia, 66,80 a Brindisi, 44,75 nella BAT, 34,56 a Taranto, 30,75 a Bari e, infine, 25,94 a Lecce. A Bari le fattispecie criminose più significative sono costituite dalla sofisticazione, soprattutto dell’ortofrutta e dell’olio.

Il falso Made in Italy a tavola colpisce in misura diversa tutti i diversi prodotti, dai salumi alle conserve, dal vino ai formaggi ma anche extravergine, sughi o pasta e riguarda tutti i continenti, come dimostrato dall’attività investigativa di NAS, ICQRF, Carabinieri Forestali. «Deleteria la secretazione dei dati relativi alle importazioni dei prodotti agricoli importati, di cui non si può conoscere la destinazione finale – ha incalzato Corsetti –  un evidente ostacolo ad una efficace opera di contrasto ed eradicazione del fenomeno dell’agropirateria, neologismo coniato proprio da Coldiretti per descrivere una pratica criminale  che si sviluppa attraverso le importazioni, la manipolazione e la trasformazione di prodotti agricoli di dubbia qualità e provenienza che giungono nel nostro Paese e che diventano “made in Italy” fregiandosi in modo fraudolento dell’immagine che accompagna nel mondo le produzioni locali».

Si stima che siano coltivati o allevati all’estero oltre il 30% dei prodotti agroalimentari acquistati dai consumatori, con un deciso aumento negli ultimi decenni delle importazioni da paesi extracomunitari dove non valgono gli stessi diritti sociali dell’Unione Europea. Riso, conserve di pomodoro, olio d’oliva, ortofrutta fresca e trasformata, zucchero di canna, rose, olio di palma, sono solo alcuni dei prodotti stranieri che arrivano in Italia che sono spesso il frutto di un “caporalato invisibile” che passa inosservato solo perché avviene in Paesi lontani, dove viene sfruttato il lavoro minorile, che riguarda in agricoltura circa 100 milioni di bambini secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), di operai sottopagati e sottoposti a rischi per la salute, di detenuti o addirittura di veri e propri moderni “schiavi”.

Al contempo vanno garantite corrette condizioni di svolgimento delle attività imprenditoriali in Puglia. Secondo il Rapporto sulle Agromafie di Eurispes e dell’Osservatorio sulla criminalità in agricoltura di Coldiretti, presieduto da Giancarlo Caselli e composto da circa 60 magistrati tra cui, Motta, Baldanza, Di Marzio, Giambrotta, la norma contro il caporalato, la legge n. 199 del 29 ottobre 2016, dovrà contenere un elemento centrale  capace di distinguere inequivocabilmente chi oggi lavora e produce in condizioni di legalità da chi opera in condizioni di sfruttamento e di illegalità del lavoro, promovendo il valore dei primi e reprimendo duramente l’operato dei secondi.

«Per questo chiediamo che venga fatta assoluta chiarezza – ha concluso il Direttore Corsetti – soprattutto nella delicata fase di scrittura delle linee guida da parte dei Ministeri del Lavoro, dell’Agricoltura  e di Giustizia, a cui gli Organi Ispettivi dovranno attenersi per evitare un uso scorretto e sproporzionato della legge ai danni delle imprese agricole sane».