Dopo le 6mila tonnellate di farina dalla Bulgaria, arrivate con una nave turca e scaricate la scorsa settimana, al porto di Bari stanno scaricando 20mila tonnellate di grano bulgaro da una nave battente bandiera di Singapore.

«Le navi cariche di grano estero non vanno in ferie evidentemente – denuncia il Presidente di Coldiretti Puglia, Gianni Cantele – e il via vai al porto di Bari continua inarrestabile. Il grano pugliese è stato colpito da una speculazione da 145 milioni di euro che sono le perdite subite dagli agricoltori del ‘granaio d’Italia’ per il crollo dei prezzi rispetto allo scorso anno, senza alcun beneficio per i consumatori. Nel giro di un anno le quotazioni del grano duro destinato alla pasta hanno perso il 43 per cento del valore mentre si registra un calo del 19 per cento del prezzo del grano tenero destinato alla panificazione. Un crack senza precedenti – continua Cantele – con i compensi degli agricoltori che sono tornati ai livelli di 30 anni fa, a causa delle manovre di chi fa acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da “spacciare” come pasta o pane Made in Italy, per la mancanza dell’obbligo di indicare in etichetta la reale origine del grano impiegato. Chiediamo un incontro urgente al Governatore Emiliano per attivare senza indugio un serio e responsabile tavolo di filiera, prima che la campagna cerealicola subisca ulteriori irreparabili danni».

A pesare sono le importazioni in chiave speculativa che si concentrano nel periodo a ridosso della raccolta e che influenzano i prezzi delle materie prime nazionali anche attraverso un mercato non sempre trasparente. Non a caso nei primi quattro mesi del 2016 gli arrivi di grano in Italia sono aumentati del 10 per cento, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat, finalizzati soprattutto ad abbattere il prezzo di mercato nazionale attraverso un eccesso di offerta. Un comportamento reso possibile dai ritardi nella legislazione comunitaria e nazionale che non obbliga ad indicare la provenienza del grano utilizzato in etichetta. Un pacco di pasta su tre è fatto con grano straniero, così come la metà del pane in vendita, ma i consumatori non lo possono sapere perché non è obbligatorio indicare l’origine in etichetta.
Da pochi centesimi al chilo concessi agli agricoltori dipende la sopravvivenza della filiera più rappresentativa del Made in Italy, mentre dal grano alla pasta i prezzi aumentano di circa del 500% e quelli dal grano al pane addirittura del 1400%.

«Fare pasta con grano 100% italiano si può – ha aggiunto il Direttore di Coldiretti Puglia, Angelo Corsetti – come ampiamente testimoniato dalla rapida proliferazione di marchi che garantiscono l’origine italiana del grano impiegato al 100%. Parliamo di un percorso che è iniziato nei primi anni della crisi sotto la spinta dell’iniziativa del progetto di Filiera Agricola Italiana (FAI) che si è esteso ad alcune etichette della grande distribuzione da Coop Italia a Iper, ai marchi più prestigiosi quali Ghigi, Valle del grano Jolly Sgambaro, Granoro, Armando, fino all’annuncio dello storico marchio napoletano “Voiello”, che fa capo al Gruppo Barilla, che ora vende solo pasta fatta da grano italiano al 100% di varietà “aureo”».

Attualmente a livello globale la quantità di grano prodotto più quello stoccato (pari complessivamente a 44,1 milioni di tonnellate) supera abbondantemente i consumi (37,4 milioni). Tutto ciò oltre a mantenere il prezzo del grano basso, fa emergere il giustificato dubbio che parte del grano importato arrivi in Italia con alle spalle già tempi lunghi di stoccaggio. Il pericolo di micotossine nel frumento aumenta dopo i 18 mesi di stoccaggio.

Coldiretti chiede risposte immediate, quali l’etichettatura obbligatoria della pasta, del pane e dei prodotti da forno in genere, il blocco delle importazioni a dazio 0 e il 100% dei controlli sul grano importato, la moratoria bancaria ed interventi finanziari per le imprese cerealicole, l’attivazione immediata della CUN nazionale cerealicola e sostegni pubblici solo alle imprese che lavorano grano italiano.